Un giro al Nurburgring: come in un museo della velocità ma con una folle illusione
Si chiama Nordschleife (anello Nord), perchè nel 1927 fu costruito insieme al più breve Sudschleife, adesso non più usato. Doveva essere innanzitutto un modo per far lavorare un sacco di gente che altrimenti era disoccupata. Poi doveva essere un circuito difficile e vario, per permettere alla Mercedes e alla Auto Union (case costruttrici care al fuhrer) di collaudare duramente le loro vetture. Doveva essere la più bella pista del mondo. Lo è ancora. Non è più una cavalcata assurda tra siepi e alberi sulle colline boscose dell’Eifel. Ora è una striscia d’asfalto bordeggiata da guard rail, su cui si può circolare liberamente pagando un pedaggio nei giorni appositamente destinati alla normale circolazione. Ma è ancora il Grun Holle, il Green Hell, l’Inferno Verde. Quando Jackie Stewart salutava sua moglie prima di recarsi al gran premio di Germania sapeva che le probabilità di tornare erano ancora meno del solito. Eppure ci vinceva, anche col tempo brutto e la nebbia. Sapendo che uscire di pista voleva dire perdersi tra gli alberi e non rivedere la pista.
Ventiquattro chilometri diabolici, senza tregua, anacronistici, difficili da ricordare e impossibili da presidiare. La curva più banale del Ring è superiore, per difficoltà, fascino e creatività, a tutte le curve del Tilkodromi odierni. Le formula 1 non ci correranno mai più, ed è giusto così. Ma ogni pilota che si rispetti una corsa sul Ring dovrebbe farla. Per capire. E per farci capire.
Iniziava con due rettilinei contrapposti, separati dai box e intervallati dalla prima curva a sinistra e poi da una lunghissima destra. Poi si arrivava ad una curva veloce a sinistra che immetteva nel tratto di Hatzenbach: tornante in discesa e sequenza interminabile di destre e sinistre a velocità variabile. Dopo questa serie di S ecco Hocheichen: frenata verso destra e tuffo nel vuoto a sinistra, per accelerare sul ponticino di Quiddelbacher Hohe. Già adesso (siamo sì e no al terzo chilometro) si sono incontrate le difficoltà che con i circuiti odierni si incontrano forse in metà campionato. Flugplatz: luogo del decollo. Dopo un dosso si frena e si affrontano due velocissimi pieghe a destra che portano a un tratto da fare in pieno, ma in pendenza. Un altro scollinamento per affrontare la pericolosissima Schwedenkreutz, sinistra da più di duecento all’ora e poi il tornante a destra di Arenberg.
Sarebbe una curva normale se non fosse l’unica del circuito dotata di via di fuga. E se non immettesse in un’allucinante discesa nel bosco, Fuchsrohe (la tana della volpe) una compressione violentissima che porta alle S di Adenauer Forst. Si accelera fino ai Metzsesfeld, due curve a sinistra, il tuffo nella destra di Kallenhardt, l’accelerazione tra gli alberi e poi una curva a tre punti di corda che precede il tratto più lento. Wersheifen: destra, doppia sinistra e destra su asfalto ondeggiante. Di nuovo in discesa, chi ne ha abbastanza può uscire dal circuito al paesino di Breidscheid, oppure salire fino alla destra di Ex-Muhle e poi proseguire lungo un piega a destra. Adesso l’unica curva che potrebbe essere presente in un circuito disegnato da Hermann Tilke, un anonimo “kink” a sinistra. Solo che fu qui che Niki Lauda perse il mondiale del ’76, l’orecchio destro, la pelle del viso. E che il
Nurburgring perse la Formula 1 (o viceversa), prima che ci si ammazzasse qualcun altro. Curva che non finisce più, la destra di Berwerk, e poi una lunga salita, velocissima, Kesselchen, un tratto su cui si potrebbe anche riposarsi se nel bel mezzo, difficile ricordarsi quando, non si incontrasse la velocissima S Mutkurve. Inclinati sul Klostertal si arriva al tornante a destra Steilstrecke e poi si affronta l’ultimo quarto della pista. Si entra in una lavatrice. Salita fino alla curva più famosa del mondo, Caracciola Karussel, sopraelevata che quasi ruota su stessa, con l’interno in cemento. Discesa in contropendenza, doppia S dell’Hohe Acht, tuffo in Hedwigshohe, destra sinistra, discesa e salita, Wipperman. Eischbach, tornante in discesa che porta alla doppia di Brunchen, quasi un momento di sollievo visto che dopo chilometri e chilometri di boschi si torna a costeggiare uno spazio aperto, cioè un parcheggio. Ma la lavatrice aumenta di giri. Eiskurve, e poi Plantzgarten, sequenza di destra e sinistra si cui le macchine, anche le Formula 1, saltano come grilli.
Quasi tutte le celebri foto in cui le Formula 1 si staccano da terra sono state scattare qui. Uscita sempre velocissima per affrontare la S di Schwalbenschwanz e poi il piccolo Karussell (anche lui asfaltato di cemento all’interno) e poi Galgenkopf, sembra un innocuo angoletto in accelerazione ma poi semplicemente non finisce mai, ed è importantissimo perchè poi c’è da portare velocità sui due chilometri di rettilineo di Dottinger Hohe. Si passa sotto il ponticino di Antoniusbuche, poi la S di Tiergarten a una velocità folle e la lenta Hoherhein, inserita in un secondo tempo per rallentare l’ingresso sul rettilineo di partenza.
Non ho più fiato.
Adesso dopo Hoherhein c’è il circuito Gran Prix, non male quando fu costruito nell’84 e permise il ritorno della Formula 1 da queste parti, snaturato poi da Tilke quando è stata costruita la Mercedes Arena.
Un giorno passerò di lì, pagherò il pedaggio e, sperando di non incorrere in uno dei pazzi che cerca di ammazzarsi con una moto o un’auto sportiva cercherò di fare un giro intero di questo sogno, di questo incubo, senza uscire di pista. Con un pensiero folle: e cioè che la Formula 1 possa tornare un giorno a correre qui. Con la stessa modalità con cui le moto correvano il Tourist Trophy, all’Isola di Man. Non in gruppo, ma “a cronometro”. Io penso che sarebbe possibile. Se corressero una macchina per volta sarebbe più facile presidiare il circuito, organizzare la sicurezza, soccorrere chi rimane vittima di un incidente. E poi la robustezza delle vetture odierne consente di correre su tratti altrettanto veloci e altrettanto pericolosi. Mi vengono in mente i curvoni veloci di Montecarlo, le S di Montreal, l’infinito rettilineo di Baku. Ma forse è solo un’illusione frutto dell’amore che non si può evitare di provare per questi ventincinque chilometri rubati dalla storia.