Nigel Mansell, la belva con la faccia da impiegato

Ovviamente esisteranno in realtà molti impiegati con la faccia da belva, ma piloti come Mansell, con quell’aria da tremebondo padre di famiglia non se ne sono visti in giro molti. Chi non ha vissuto l’era degli anni ’80 e legge l’Albo d’Oro può farsi un’idea sbagliata: l’inglese vince il suo unico titolo al suo ultimo anno in Formula 1, a bordo di un missile chiamato Williams FW14B, prodigio con Adrian Newey a capo del progetto, la supervisione di Patrick Head, motore Renault e una fantastica applicazione delle moderne tecnologie elettroniche a trazione, frenata e sospensioni. Sembrerebbe uno Jacques Villeneuve qualunque.

Macchè, non ci sbagliamo! Nigel Mansell è stato uno dei principali attori di quella stagione irripetibile che ha visto confrontarsi autentici fuoriclasse come Senna, Prost, Piquet, Rosberg, l’ultimo Lauda. Tutta gente con un piede così e nessuna disposizione a vedere vincere gli altri. E lui ne era largamente all’altezza, di quella compagnia, sebbene un po’ più sfortunato e un po’ meno furbo rispetto a cotanta concorrenza.

Nigel e futura mogliettina agli albori della carriera

Ripercorriamo i passi della carriera del baffuto inglese, perchè c’è da divertirsi un sacco. Nato nel 1953 da una famiglia modesta nel Sud Ovest dell’Inghilterra il nostro eroe ci mette un bel po’ per arrivare ai massimi livelli dell’automobilismo. Prima si sposa con l’amata Roseanna (esteticamente non il sogno di Piquet, diciamolo subito), futura madre dei suoi tre figli, conosciuta in gioventù e suo principale sostegno morale. I soldi sono pochi, e nonostante le indubbie capacità solo nel 1980 gli viene data da Colin Chapman, padrone della Lotus e suo ammiratore, una macchina di Formula 1. L’ esordio non è di quelli che rubano l’occhio: Elio de Angelis pare più forte, Nigel spinge sempre parecchio ma stranamente gli si rompe spesso qualcosa sulla vettura, o gli assetti migliori non vengono decisi, diciamo così, dalla parte del suo box. La situazione peggiora quando muore Chapman, e alla Lotus prende il comando Peter Warr, che semplicemente non lo sopporta. Sarà, il rapporto difficile con i tecnici, una componente pressoché costante della carriera di Mansell, che lo costringerà ad una gavetta piuttosto lunga e ad ingoiare bocconi amari. Per esempio quando alla fine dell’84, annata decisamente positiva dove si mette in luce parecchie volte, non solo perché sviene alla fine del Gran Premio di Dallas nel tentativo di spingere la sua macchina al traguardo, la Lotus lo pianta in asso, preferendogli Senna.

Il famoso svenimento di Dallas

Nigel non lo sa, ma è un colpo di fortuna: la Williams, alle prese con le bizze del primo motore Honda e in cerca di un sostituto di Laffite per affiancare la prima guida Rosberg, ripiega su questo ultratrentenne, perché Frank lo ammira sin dalle sue rapidissime evoluzioni nelle formule minori. Mansell inizia a frequentare con una certa continuità le prime file della griglia, instaura piano piano un bel rapporto con Keke, e alla fine della stagione mette in carniere una bella doppietta, Brands Hatch e Kyalami, ma soprattutto cresce insieme ad una vettura che chiude l’85 nel ruolo di migliore del lotto.

L’86 si apre col passaggio di Rosberg alla McLaren, e l’arrivo di Piquet in Williams. Nelson vuole essere la prima guida, forse c’è anche scritto da qualche parte nel contratto, alla squadra però non dispiace che Mansell corra liberamente. L’incidente stradale occorso a Frank nell’inverno priva la scuderia del suo leader naturale, e infatti scoppia il caos. La macchina è semplicemente fantastica, il motore pure, ma tra i piloti è guerra aperta. Dirà anni dopo Frank Dernie, ingegnere padre proprio delle sospensioni attive della vettura bianca, gialla e blu, che esistono tre versioni del baffuto pilota: una è un padre di famiglia esemplare, devoto e generoso con moglie e figli; la seconda è una belva scatenata in pista, uno che non ha paura di niente e niente ha da invidiare a nessun “collega” in fatto di velocità e coraggio. Purtroppo c’è anche la terza versione: un uomo scostante, incapace di lavorare in gruppo, che scende dalla macchina senza riuscire a dare nessuna indicazione valida, un piagnucolone che si lamenta continuamente che qualcosa non va senza dire cosa. Agli occhi dei tecnici un imbecille.

Una delle foto più famose degli anni ’80

E infatti Nigel nonostante un gran numero di vittorie e il primo posto in classifica generale al via dell’ultima gara, quel mondiale lo perde. Mentre Senna, Rosberg, Mansell e Piquet si scannano nei primi giri di quell’indimenticabile Gran Premio d’Australia, Prost risparmia la macchina, cambia in anticipo le gomme e aspetta al varco gli avversari: al 5 rosso esplode la posteriore sinistra in pieno rettilineo (roba da ammazzarsi) dopo che anche Keke si è dovuto fermare per un problema simile. A Piquet non resta che andare ai box e cambiare gli pneumatici, per evitare la medesima sorte. Prost si conferma campione, è la vittoria della furbizia e della strategia di gara, contro l’irruenza e la dabbenaggine. Quelle di Mansell.

L’anno successivo la beffa è anche peggiore: la Williams è ancora più forte, l’inglese sempre più protagonista, nel bene ma anche nel male. Si prende a ruotate in pista e a cazzotti ai box con Senna in quel di Spa, perde un bullone quando domina in Ungheria, non riesce ad approfittare del disorientamento di Piquet reduce da uno spaventoso botto nelle prove di Imola. Nelle libere di Suzuka spinge senza motivo, scivola su un cordolo, la macchina va contro le barriere e atterra dritta dritta sul fondopiatto, fracassando la sua già fragile colonna vertebrale. Mondiale a Piquet, che fortunatamente ha già l’accordo per levarsi dalle scatole e andare alla Lotus.

Nell’88 non ha la macchina per vincere, ma il curriculum per andare in Ferrari sì. Saranno altri due anni, ’89 e ’90, prima compagno di Berger e poi con Prost, di nuovo emozionanti. Molto. Al debutto a Rio nell’89, con una macchina che fino allora non ha fatto dieci giri di seguito ottiene una vittoria strepitosa. Poi arriva una lunga serie di ritiri per i guasti dell’innovativo cambio semiautomatico, ma in Ungheria porta di nuovo al successo la rossa, partendo a metà schieramento e superando nel finale Senna su un circuito dove i sorpassi sono quasi impossibili. Non per lui. Dirà Ayrton, un giorno: “Io non ho paura che la gente mi superi. Ma quando hai Nigel dietro, nella giornata giusta e con la macchina giusta, sai che a destra, a sinistra o sopra prima o poi ti sorpasserà”. Dirà cose diverse, a dire il vero, qualche mese dopo all’Estoril, quando il ferrarista, che ha sbagliato l’accesso ai box facendo poi marcia indietro (non si può) viene fatto oggetto di bandiera nera, ma non si ferma prima di averlo buttato nella ghiaia alla prima curva. Un gran premio di squalifica, tanto per gradire.

A 300 all’ora al Montmelò: epica pura

Riproviamo nel ’90, avrà pensato il baffo. Macchè. A Maranello arriva Prost, campione in carica con addosso litri di veleno dopo le liti con Senna, al meglio della forma come pilota ma soprattutto come uomo squadra. Ci mette un attimo a conquistare l’appoggio e la devozione dei colonnelli in rosso, all’altro tocca il numero 2 sulla carrozzeria ma anche nei box. Mentre Alain parla con i capi (quelli di Torino) Nigel fa fatica a spiegarsi anche col suo ingegnere di pista. Il risultato è che il francese lotta per il titolo mentre Mansell, nonostante alcune belle prove e un paio di numeri esagerati (così a memoria…un testacoda a 300 all’ora a Imola, causato da una strizzata criminale di Berger; la vendetta sull’austriaco, un sorpasso all’esterno della Peraltada a Città del Messico che vengono i brividi a rivederlo anche trent’anni dopo) ne finisce esasperato, fino ad annunciare il proprio ritiro.

E’ stufo della politica, degli ingegneri, dei dirigenti, mica di correre, il trentasettenne britannico. Il vecchio Frank lo capisce e gli propone l’ultimo tentativo. E’ la volta buona. Nel ’91 Senna riesce a mettere una pezza contro la superiorità delle vetture di Grove (la squadra anglo francese ci mette del suo con un errore al pit stop del gran premio del Portogallo che incenerisce ogni fiammella di speranza di recupero nel mondiale), ma il ’92 è trionfale.

Mansell si prende in una stagione, e con gli interessi, tutto quello che la sorte gli ha tolto in una carriera ultra decennale. Assecondato da una vettura stratosferica e appoggiato da un compagno di squadra, Patrese, leale e bravo più di lui nella messa a punto (ma che poi gli assetti li condivide, mica come Piquet) diventa campione del mondo già in Ungheria, ad Agosto. Nove vittorie, un’enormità. Stavolta non sarebbe riuscito a perdere nemmeno lui, che pure di trucchi per mettersi nei guai ne conosceva molti.

Finalmente campione del mondo

Nel ’93 alla Williams sarebbe arrivato Prost, di nuovo, allora l’inglese saluta la compagnia, va in America dove vince il campionato CART (primo europeo a riuscirci) al primo tentativo, fa vedere agli americani, a quarant’anni tondi, come si guida una macchina da corsa e poi di nuovo torna alla Formula 1. Nel ’94 ricompare in un paio di Gran Premi sulla Williams che era di Senna, e vince un’altra gara, l’ultima della carriera; poi nel ’95, finalmente, corre le due ultime sulla McLaren, senza più voglia nè scopi. Si chiude così la parabola del vecchio Nigel, campione vero ma anomalo, senza corona per troppo tempo, eppure indimenticabile guerriero, trattato fuori dalla pista alla stregua di una comparsa ma temutissimo dagli avversari quando il suo casco con l’Union Jack fa capolino negli specchietti retrovisori.

Di tutti i piloti che ho visto io è stato il più simile, per stile di guida, generosità e capacità di emozionare il pubblico a Gilles Villeneuve. Infatti nel 2001, a Donington, durante una corsa promozionale con vetture di Formula 1 biposto (delle vecchie Minardi adattate per fare provare l’ebbrezza della velocità a ricconi di varia nazionalità) il nostro si cappotta decollando sulle ruote della macchina che lo precede. Il passeggero, un uomo d’affari londinese, aveva pagato 55mila dollari, per farsela addosso. Non credo che abbiano mai più organizzato pagliacciate simili, per colpa e merito di Nigel Mansell.

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David Bianucci

Mi chiamo David Bianucci, e sono nato a Prato nel 1972. Dal 1981 non mi perdo un gran premio di Formula 1. Nel frattempo ho studiato, fatto sport, adesso lavoro come ingegnere meccanico ma la passione non si è mai spenta. Vivo in Veneto con moglie e tre gatti. Non posso più prendermi due ore per andare a vedere le macchine che girano al Mugello, ma questo non frena certo la mia voglia di parlare di corse. Vi aspetto.