“Ma dove vai così veloce? Credi di essere Stirling Moss?”

Per decenni i poliziotti inglesi hanno apostrofato così chi andava troppo forte per la strada. E’ un’ottima premessa per capire chi fosse questo ometto di 91 anni che ci ha lasciati qualche giorno fa, dopo una vita meravigliosa, fatta di imprese, passione, affetto, risate e paura di morire. Gli ingredienti del pilota degli anni ’50, evidentemente.

Notare la sensazione di solidità che davano queste vetture

Moss è facile definirlo: è quello che arrivava secondo quando Fangio faceva incetta di titoli. Solo che così si sbaglia. Perchè non è come adesso. Niente è come adesso, figuriamoci nella Formula 1, dove la tecnologia si fa competizione e stravolge ogni anno, ma forse anche ogni mese, il senso dello sport. Negli anni in cui correva Moss i Gran Premi erano molto diversi. Erano più lunghi, estenuanti cavalcate di tre ore. Si correva su circuiti pericolosissimi (scegliete una qualsiasi strada provinciale di collina che collega due comuni con rettilinei e curve velocissime, e otterrete qualcosa di simile al vecchio Spa, a Rouen, a Reims, a Bremgarten, ai teatri dove si confrontavano quegli assi leggendari che rispondevano ai nomi di Ascari, Farina, Gonzalez, Brabham, Collins, Von Trips, Brooks e ovviamente il grande argentino). E poi non ci si accontentava mica di rischiare la vita per dieci domeniche all’anno. Facile che si andasse anche a Le Mans, a Indy, a quella pazzia totale che era la Mille Miglia. E che Stirling Moss vincesse.

A chiacchierare con Hamilton durante un evento promozionale

Ha avuto una lunga carriera, questo figlio di piloti, cresciuto a latte e benzina, messo su una macchina da corsa giovanissimo e ritiratosi solo per un incidente un po’ più grave di altri. E’ stato amatissimo dai tifosi, stimato dagli avversari, adorato da uno come Enzo Ferrari, che oltre il muso della sue auto rosse aveva difficoltà a riconoscere l’altrui bravura. E invece del pilota londinese era un estimatore convinto, avrebbe tentato anche di portarlo a Maranello, e c’era già un accordo. Ma il gravissimo botto di Goodwood del ’62, a cui Moss è sopravvissuto ma non in condizioni di poter continuare a condurre una macchina da corsa, lo rese vano. Se per un italiano non c’è riconoscimento maggiore di quello, in ogni campo, tributato dai britannici, nel campo motoristico per un inglese non ci può essere un complimento più importante di quello uscito dalle labbra del Commendatore. Moss, lo ebbe. E lo ebbe perchè se lo meritava pienamente.

Così si arrivava alla fine di una tappa della Mille Miglia

Il ricordo più bello che si possa avere, di questo ragazzino piccolo e vispo è una frase in risposta al solito giornalista, che dopo che lo incontrava a tutti gli eventi, tutti i festival, tutte le corse, anche in età avanzata, ebbe a chiedergli “Stirling, ma non ti sei stufato di venire sempre in questo ambiente dove ti chiamano da cinquant’anni “l’eterno secondo”?” E lui “Ho avuto una bellissima carriera, pazienza se non ho vinto il campionato di Formula 1. E comunque io continuo a venire, dove lo trovi un posto con così tante belle ragazze?”.

Bisognerebbe scriverle in un albo d’oro, queste frasi.

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David Bianucci

Mi chiamo David Bianucci, e sono nato a Prato nel 1972. Dal 1981 non mi perdo un gran premio di Formula 1. Nel frattempo ho studiato, fatto sport, adesso lavoro come ingegnere meccanico ma la passione non si è mai spenta. Vivo in Veneto con moglie e tre gatti. Non posso più prendermi due ore per andare a vedere le macchine che girano al Mugello, ma questo non frena certo la mia voglia di parlare di corse. Vi aspetto.