L’astuzia fatta pilota: Nelson Piquet
Per parlare di Nelson Piquet sr. (il figlio Nelsinho sarà sempre e solo noto per l’incidente di Singapore 2008 costato la “carriera” a Briatore, e niente più) non basterebbe un libro: per ragione oggettive, trattandosi di uno dei più grandi campioni degli anni ’80, e soggettive, visto che il primo gran premio che ho visto in TV lo vinse lui (Imola ’81) e per lui tifai da quel momento fino alla fine della sua lunga carriera.
In breve la storia della sua carriera: figlio di un ricco medico e politico che lo voleva tennista (per questo iniziò a correre di nascosto con i kart col cognome della madre, Piquet) Nelson fu dall’inizio un predestinato. I soldi non gli mancavano, arrivò giovanissimo in Inghilterra, dove si distinse nelle serie minori, e nel ’78 era già in griglia di partenza al gran premio di Germania di Formula 1, con una Ensign. L’anno dopo eccolo in Brabham accanto a Niki Lauda. Imparerà dall’austriaco gli infiniti trucchi per mettere a punto la macchina e nell’80, col ritiro di Niki, è già caposquadra e vicecampione del mondo.
Il primo titolo arriva subito dopo, nell’81, grazie all’affidabilità della sua Brabham, alla sua bravura e alla rivalità tra Reutemann e Jones, che con la migliore macchina del lotto (la Williams) finiscono per rubarsi punti e vittorie a vicenda. Nell’82 sconta la mancanza di affidabilità del turbo BMW, ma nell’83 è di nuovo campione, con la BT52 “a freccia” e con la benzina irregolare che consente alla Brabham di dominare l’ultima parte della stagione. Altre due stagioni interlocutorie nel team di Ecclestone e poi il passaggio in Williams, la macchina più forte del lotto, con la quale vince nell’87 il suo ultimo mondiale beffando uno sfortunatissimo Mansell. Da lì in poi sarà una lenta discesa, con la deludente Lotus di fine decennio, prima degli ultimi fuochi con la Benetton, con cui fa in tempo a vincere altre tre gare prima di essere travolto dal ciclone Schumacher.
Ma i numeri, pur molto importanti, perfino superiori, forse, alle sue prestazioni (soprattutto paragonati a quelli di gente come Mansell e Senna, piloti che hanno vinto come o meno di lui pur essendo velocissimi) non bastano per esprimere l’impronta che Nelson lasciò sulla Formula 1 della sua epoca, segnandola in maniera indelebile.
Di nessuno tra tutti i fuoriclasse con cui si è confrontato, e si parla di gente del calibro di Lauda, Prost, Mansell, Senna, Rosberg sr., si può dire che fosse più lento di Piquet, eppure non ce n’è uno che non abbia mai dovuto chinare il capo di fronte alla sua combinazione di furbizia, capacità di comprendere la strategia di gara, mettere a punto la macchina, nuotare insomma con allegra disinvoltura in un mondo, quello dei gran premi, che si stava trasformando da sport individuale in vero e proprio business globale, complesso e dalle sfaccettature psicologiche sempre più importanti.
Nelson, oltre alle doti velocistiche e tecniche, sapeva lavorare con gli ingegneri, con i fornitori di motore e di gomme, in maniera pulita o, se necessario, molto vicino al limite della scorrettezza. Guarda caso la sua macchina era sempre meglio assettata da quella del compagno di squadra, aveva spesso i pezzi migliori o il motore più potente. Nei due anni in cui corse in Williams con Mansell, sicuramente i due più “vibranti” della sua carriera, non si contano le liti, le azioni di logoramento dentro e fuori dal box (come quando voleva andare in ospedale da un Frank Williams mezzo morto per i postumi di un incidente stradale per riaffermare il suo ruolo di prima guida) la diffusione di false informazioni tecniche quando si parlava di assetti nei meeting interni alla squadra.
La lingua lunga e l’irriverenza non gli mancavano certo nemmeno di fronte alla stampa: nell’82 si scagliò contro la Ferrari accusandola di costruire macchine fragili (ma la Scuderia rispose duramente rivelando che Nelson aveva più volte chiesto comunque di dargli una vettura), negli anni successivi definì “racchia” la moglie di Mansell, “finocchio” il giovane Senna e così via. Roba che gli scherzi pesantissimi al giornalista Rai Ezio Zermiani passavano in secondo piano come burle innocenti.
Nonostante un carattere non certo accomodante Piquet fu popolarissimo, anche in Italia. Di tutti i piloti che non hanno mai guidato una Ferrari è sicuramente quello che ha raccolto il maggior numero di tifosi.
Ora è un uomo d’affari con base in Brasile, ex mogli e figli sparpagliati per il mondo, lo sguardo un po’ spento, a dire il vero, come di uno che sa di aver già dato e vissuto il meglio. Vale per molti appassionati di Formula 1, purtroppo, che dei tempi vivaci e sfrontati di Nelson Piquet sanno che non torneranno più.