Buon compleanno Schumi

Credo che non si dovrebbe mai dimenticare che quando ci si fa un giudizio su un campione sportivo, un artista musicale, un attore non si è in grado di giudicare la persona, a meno che non la si conosca, bensì il personaggio. Le differenze tra la persona e il personaggio possono essere poche ma anche tante. Il personaggio è una specie di ombra platonica, trasfigurazione della persona attraverso uno schermo televisivo o immagine filtrata da giornalisti, fotografi, intervistatori.

Per questo, in un’epoca in cui gli esempi vengono cercati spesso in calciatori o motociclisti, cerco personalmente di andarci molto cauto nell’accettare le etichette di “grande uomo” appiccicate di tanto in tanto a questo o quel campione sportivo, per quanto apprezzabili siano le sue dichiarazioni o irreprensibile il suo comportamento sul palcoscenico agonistico.

Michael Schumacher, di cui oggi festeggiamo il cinquantesimo compleanno, fa eccezione.

E’ un’opinione molto personale, lo ammetto, ma a Schumacher sin dai primi anni della sua carriera ho sempre riconosciuto oltre che ammirazione per le sue grandi capacità anche una dose sempre più forte di stima umana, come se lo conoscessi personalmente e ne avvertissi le qualità. Mi è sempre piaciuto il suo comportamento negli anni bui tra il ’96 e il ’99, quando le sconfitte erano superiori alle vittorie, quando era ricoperto di critiche per i risultati deludenti rispetto allo stipendio che prendeva, quando non parlava l’italiano neanche sotto tortura. Mi è poi piaciuto anche lo stile negli anni dei successi, irripetibili eppure sempre condivisi con chi lavorava con lui, in fabbrica e ai box. E nuovamente ho apprezzato l’entusiasmo alla vigilia del ritorno nel 2010, la compostezza di fronte alla crescente delusione per vittorie mai più tornate e il mesto ma dignitoso abbandono, definitivo, alle piste e alla formula 1.

Ci ho sempre visto, in Schumacher, una persona di grande semplicità, che issato in cima al mondo dal proprio infinito talento non ha mai rinunciato, lottando se fosse il caso, ai due o tre principi cardine dell’esistenza: la responsabilità verso la famiglia, soprattutto rispetto ai figli (mai esposti al caos della popolarità obbligatoria che ha caratterizzato il nuovo millennio; per dire mentre le figlie di Ecclestone trionfavano alle feste e agli eventi più esclusivi non si sa quasi che faccia abbia Gina Schumacher, primogenita ormai più che ventenne).

Un altro principio mai violato è il rispetto per le persone della propria squadra: nemmeno nei momenti più difficili, nemmeno quando un guasto ai freni lo ha spedito tra le gomme della Stowe a Silverstone nel ’99, nemmeno quando si è rotto il motore a Suzuka nel 2006 ho mai sentito un accenno di lamentela verso ingegneri e meccanici. Il paragone con Alonso è abbagliante.

E neanche è mancato il rispetto per gli avversari, maltrattati tra le curve ma mai umiliati fuori. Ne è una prova il fatto che a parte qualche eccezione, tipo Hill che in una delle sue espressioni più felici ebbe a dire una volta “Schumacher ha lasciato nella storia delle corse tracce indelebili, peccato che parecchie siano finite sulle fiancate della mia Williams” (onestamente una battuta che non si poteva tenere per se stessi) gente come Coulthard, Hakkinen e Alonso gli tributano ancora un’ammirazione che non è dovuta solo alle sfortunate condizioni di salute del tedesco, ma che è riconoscimento sincero di qualità umane indiscutibili. Non male per uno che in pista è stato un discreto figlio di puttana, un duro via via sempre più esperto e smaliziato, non certo l’avversario che si possa sperare di trovarsi di fronte alla staccata successiva.

Per questo di Schumacher permetto a me stesso di avere non solo splendidi ricordi sportivi, ma anche un affetto come se fosse un fratello maggiore, lontano nella vita quotidiana ma molto vicino come esempio e riferimento.

Lasciando ad altri momenti la narrazione delle imprese sportive concludo ricordando un episodio che mi è rimasto impresso in maniera molto forte. Monza 2005: ero presente. La Ferrari andava più piano di Renault, McLaren, Williams, Honda e Toyota. Barrichello e Schumi furono lontani in prova e ancora più in difficoltà in gara. Arrivarono fuori dalla zona punti, ad anni luce da Montoya, Alonso e Raikkonen. Eppure durante il giro d’onore il boato più forte del pubblico di Monza fu per un casco rosso fuoco, a bordo di una macchina col numero 1 arrivata intorno alla decima posizione.

 

 

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David Bianucci

Mi chiamo David Bianucci, e sono nato a Prato nel 1972. Dal 1981 non mi perdo un gran premio di Formula 1. Nel frattempo ho studiato, fatto sport, adesso lavoro come ingegnere meccanico ma la passione non si è mai spenta. Vivo in Veneto con moglie e tre gatti. Non posso più prendermi due ore per andare a vedere le macchine che girano al Mugello, ma questo non frena certo la mia voglia di parlare di corse. Vi aspetto.