Le emozioni di Rouen les Essarts

Rouen Les Essarts ha ospitato poche corse. Di Formula 1, intendo. Poi in realtà ha visto gareggiare moto, auto da turismo, monoposto di varie formule fino agli anni ’80. Fino a quando, cioè, gli standard di sicurezza sono diventati davvero troppo esigenti (giustamente), perchè si potesse continuare ad usare un tracciato così.

Eppure Rouen Les Essarts (dal nome dei paesi più vicini alla pista) è un luogo mitico. Una specie di museo di quanto si intendesse per “correre in macchina” fino ai primi anni ’70. Fino a quando, cioè, il campione più importante e “visibile” della sua epoca, lo scozzese Jackie Stewart, non rendesse chiaro agli addetti ai lavori che la morte di un pilota non è nè un danno collaterale nè un evento frutto di un destino invincibile, bensì un’eventualità da cercare di evitare a tutti i costi.

Prima della levata di scudi “sindacale” di Jackie non è che la pericolosità delle piste fosse molto importante. Semplicemente era poco considerata. Erano le corse, ad essere pericolose, spesso mortali, le piste erano quello che erano e cambiarle non avrebbe intaccato il problema. E così si correva al Nurburgring, a Clermont Ferrand, a Watkins Glen e, ovviamente, a Rouen les Essarts.

Che poi ai piloti Rouen piaceva pure. Ai piloti piacevano quei luoghi dove non ci si annoiava. E su queste strade statali immerse nei boschi della Normandia non si annoierebbe nemmeno un turista della domenica con una Panda, figuriamoci un figuro chiamato a spingere a tutta velocità un mostro da quattrocento cavalli con quattro ruotine di trenta centimetri e un telaio fatto di tralicci pannellati. Le spingevano a tutta, questi gioielli della tecnica e della follia, su un percorso velocissimo, che partiva con una serie di rettilinei in discesa intervallati da curve da 200 all’ora, tipo la Six Freres (teatro di numerose tragedie), e nel suo punto più basso invertiva il senso di marcia con un tornante stranissimo, la Virage du Nouvelle Monde, un tratto di collegamento in pietrisco. Poi di nuovo nel bosco, in salita, curve ancora velocissime, cieche e senza via di fuga, fino al ritorno al punto di partenza.

Il tracciato è ancora percorribile, le strutture sono state distrutte, non ci sono box, tribune o guard rail. Ma la curva Six Freres, travestita da anonima piega della regionale 938, esiste ancora. Ed esiste la Virage du Nouvelle Monde. Dal catrame della riasfaltatura emerge qualche pietra, di quelle vecchie, dove sbandavano Hill, Brabham, Clark e Surtess.

 

 

Share it:

David Bianucci

Mi chiamo David Bianucci, e sono nato a Prato nel 1972. Dal 1981 non mi perdo un gran premio di Formula 1. Nel frattempo ho studiato, fatto sport, adesso lavoro come ingegnere meccanico ma la passione non si è mai spenta. Vivo in Veneto con moglie e tre gatti. Non posso più prendermi due ore per andare a vedere le macchine che girano al Mugello, ma questo non frena certo la mia voglia di parlare di corse. Vi aspetto.