Paul Ricard: non solo pastis
Come abbiamo fatto fino allo scorso anno a fare al meno del Paul Ricard? Mentre la Ferrari attua la sua complessissima strategia per far valere le proprie ragioni dopo la penalizzazione canadese di Vettel, non si sa con quale scopo visto che il ribaltamento dell’ordine d’arrivo è pressochè impossibile, le squadre si avvicinano al primo dei cinque appuntamenti che ci separano dalla pausa estiva, il Gran Premio di Francia.
Un Gran Premio storico, rimasto assente per lungo tempo per questione economiche, e che finalmente lo scorso anno è stato reinserito nell’elenco, oltretutto in una sede classica. Bisogna accontentarsi, a Le Castellet non si corre più sulla configurazione degli anni ’70 e ’80, ma comunque vedere le vetture sfrecciare di nuovo a Signes o danzare nel tratto misto che porta dall’estremità orientale fino al traguardo rimane sempre un bello spettacolo.
La storia del circuito provenzale inizia nei primi anni ’70, quando dopo aver fatto correre (e morire) i piloti su pazzeschi anelli stradali (gli infiniti rettilinei di Reims, le discese tra i boschi di Rouen, l’ottovolante sassoso della Charade a Clermont Ferrand) gli organizzatori decidono finalmente che il gran premio di Francia si terrà su una pista vera e propria, un autodromo “sicuro” e non un tracciato ottenuto con strade normalmente aperte al traffico. Il sostegno decisivo arriva dal signor Paul Ricard, imprenditore marsigliese del settore degli alcolici, e chissà di quanti altri settori, che sviluppando da pioniere il concetto di “brand” dopo aver sponsorizzato per due decenni il Tour de France decide di dare il nome suo e del suo prodotto a qualcosa che col prodotto non c’entra niente, per esempio un circuito automobilistico. Nel niente delle colline del Var nasce così questa pista velocissima, con asfalto abrasivo, curve di vario raggio e rettilinei spazzati del Maestrale, ideale tra l’altro per ospitare i test invernali delle squadre, che al Ricard troveranno per decenni le condizioni migliori per provare le novità in vista della stagione successiva.
Alternandosi all’altra pista permanente di Digione l’autodromo di Le Castellet ospiterà in tutto 14 edizioni della corsa transalpina, quasi tutte sul circuito “lungo”, quello che presenta la S della Vetreria e il rettilineo del Mistral in tutti i suoi 1800 metri di lunghezza. Quando, nell’86, durante una sessione di prove private, la Brabham di De Angelis perderà l’ala posteriore all’ingresso della chicane della Vetreria e il pilota rimarrà per decine di minuti avvolto tra i fumi dell’incendio ignorato dai soccorritori, perdendo drammaticamente la vita, il circuito verrà messo sotto accusa (come se l’assenza dei soccorsi durante le prove private e un alettone che si rompe fossero colpa del circuito) e prima amputato togliendo tutta la parte ovest e poi definitivamente estromesso dal calendario, a favore di quel penoso intreccio di curve senza ritmo che si trova a Magny Cours.
Negli anni 2000 il circuito sarebbe poi stato acquistato da Bernie Ecclestone, trasformato in un modernissimo tracciato di test, con vie di fuga innovative e impianto per l’annaffiamento artificiale e dotato di innumerevoli varianti, che hanno portato a diverse decine le possibili configurazioni utilizzabili.
Su una di queste la Formula 1 è finalmente tornata lo scorso anno, e dovrebbe continuare a correre per diverse stagioni ancora. Ci sono due solenni chicane a interrompere i due rettilinei principali, ma Signes, la doppia destra de La Beausset e la sequenza Virage de la Tour – Virage du Pont ci sono ancora. Per fortuna.
Con gran gioia degli appassionati e del signor Ricard, sepolto in riva al mare a venti chilometri dal circuito e curioso, anche lui, di vedere se domenica prossima la Ferrari si presenterà in forma come in Canada oppure tornerà a mangiare la polvere di Hamilton e Bottas.