Ma perchè vince sempre lui? Hamilton a un’unghia dal sesto titolo
Gran Premio del Messico: Ferrari in prima fila, Hamilton vincitore alla fine. Un film visto e rivisto che fa divampare polemiche e discussioni. E cercare colpevoli: una volta è la macchina, una volta i piloti, una volta la strategia.
Che è successo stavolta? E’ successo, direi, che la Mercedes ha confermato che in gara ha un passo leggermente superiore alle altre (ieri il vantaggio era veramente lieve, ma c’era), e una strategia fortunata le ha permesso nuovamente di salire sul gradino più alto. Fortunata? Beh, sì. Neanche al box della stella a tre punte avrebbero scommesso che sul circuito dedicato ai fratelli Rodriguez le gomme dure sarebbero, appunto, “durate” così tanto, in più con prestazioni addirittura superiori alla mescole media. E invece man mano che passavano i giri un perplesso Hamilton, convinto di aver cambiato troppo presto, si è sorpreso lui stesso della performance e della consistenza degli pneumatici, riuscendo così a respingere senza troppe difficoltà la bella rimonta di Vettel, anche lui portato sulla strategia a una sosta ma incapace di avvicinarsi a Lewis, bravissimo nella gestione di una gara che dopo dieci secondi, con la strizzata di Vettel alla partenza e le ruotate con Verstappen alla prima curva non pareva riservare grandi soddisfazioni.
Credo che la vittoria di ieri sia una delle più belle dell’intera stagione, per l’attuale e futuro campione del mondo: primo giro disastroso, gara rimessa piano piano insieme con pazienza, senza errori e poi vinta grazie ad una straordinaria leggerezza di guida. Lewis Hamilton potrà non piacere come personaggio, ma è il migliore quando attacca, il migliore quando si difende, il migliore quando sorpassa, il migliore nella gestione della macchina, anche quando le condizioni sono difficili. Sta unendo, insomma, ora che è un uomo e non più un ragazzino, la sua innata velocità con una grande esperienza e freddezza, che gli permettono di leggere le gare con lucidità e spingere quando c’è bisogno. Uno così, con una macchina che in gara è ancora la migliore, è una garanzia.
Garantito infatti che per la Ferrari vincere vuol dire dover allineare i pianeti e azzeccarle assolutamente tutte. In Messico è mancato poco, come in Giappone. Le notizie positive vengono da una macchina che è cresciuta molto, e non era scontato, da un motore che è il migliore del lotto, da due piloti all’altezza della situazione (Vettel pare rinato, sembra che abbia accettato che Leclerc sia più veloce di lui e si accontenta di fregarlo con l’esperienza, anche a costo di fermarsi quando vuole lui e non quando glielo chiedono dai box). Le negative da una certa sfortuna (chi avrebbe detto che Leclerc per coprirsi da Albon stava pregiudicando la sua gara) e da quell’errore al secondo pit stop del monegasco che davvero grida vendetta. Piccoli dettagli che ancora costano la vittoria e che segnano i passi ancora da compiere, in una direzione che però è quella giusta.
Detto della lotta al vertice non si può evitare di sottolineare ancora una volta l’incertezza e la bellezza del “gran premio degli altri”: sparita l’eccellente McLaren dei primi giri l’ordine d’arrivo stavolta arride a Perez e Ricciardo, entrambi spettacolosi. E a Hulkenberg, che senza il fallo a gamba tesa di Kvyat all’ultima curva sarebbe arrivato ancora più avanti. Un disastro difficile da spiegare, per contro, le Haas e le Alfa Romeo, ormai quasi al livello delle Williams.
Finale per Verstappen: senza l’incidente con Hamilton avrebbe probabilmente vinto. Fino a due anni fa non alzava il piede mai, ora qualche volta lo alza. Non sono ancora abbastanza, vedi episodio delle bandiere gialle in qualifica. Ma che manico che è!