La “pietra d’argento”: un luogo storico per la Formula 1
Sto notando, non senza preoccupazione, che quando si parla dei circuiti europei prevale la nostalgia. Perchè è un dato di fatto che le piste su cui un tempo si correva la torrida estate della Formula 1 (Gran Premi di Francia, Gran Bretagna, Germania, Austria, Olanda, Italia, spesso decisivi perchè poi restavano giusto un paio di trasferte in Nord America o Giappone prima della fine del campionato) sono tutte drasticamente cambiate, o scomparse, tranne Monza.
Silverstone, e chi l’avrebbe mai detto, non fa eccezione. I piloti ancora l’aspettano con entusiasmo, l’appuntamento inglese, perchè sulla pista della “pietra d’argento” si divertono un sacco, e prendere Copse o Abbey quasi in pieno e danzare tra Maggott’s, Beckett e Chapel dev’essere ancora un bella avventura. Ma per chi ha avuto tempo di vedere qualche stagione in più Silverstone non è più la stessa, da un bel po’. Lasciamo stare l’atmosfera, sempre entusiasmante, il calore del pubblico, e il fatto che su questa pista si è corso per tantissimi anni, addirittura fin dal 1950, anno in cui proprio qui si disputò il primo Gran Premio della storia della massima Formula.
Il fatto è che quel vecchio anello, ottenuto sulle strade perimetrali di un aeroporto militare da cui la RAF faceva partire i caccia “anti tedeschi” nella seconda guerra mondiale, non esiste più. Si era arrivati a correrci, a metà degli anni ’80, a più di 250 km/h di media (record sul giro in prova di Rosberg, il Rosberg quello vecchio, quello cattivo, record imbattuto per decenni) su questa specie di Indianapolis europea, sequenza di rettilinei collegata da curve velocissime con nomi storici (Copse, Beckett, Stowe, Club, Bridge, Woodcote) e vie di fuga inesistenti. Dopo il patatrac del secondo giro del 1973, con Scheckter che si gira sul rettilineo d’arrivo e viene centrato dal gruppone, ed è un miracolo che il più grave sia Andrea de Adamich che ci rimetterà solo la carriera ma non la vita, verrà inserita nel tracciato la prima variante, una difficilissima e tipica sterzata verso l’interno della Woodcote, molto bella e impegnativa. Da lì sarà tutto un crescendo di modifiche, tutte abbastanza consapevoli a dire il vero, niente a che vedere con le amputazioni vere e proprie imposte da Tilke su altre piste, però non per questo meno dolorose.
Negli anni: sparisce la Beckett sostituita da una sequenza di S rapidissime, e molto belle; si chiude verso l’interno Stowe mantenendola comunque veloce; si mette la chicane Vale davanti a Club, che da curvone da fare a occhi chiusi e piede schiacciato diventa una piega in accelerazione non priva di difficoltà, si aggiunge il Complex prima dell’arrivo.
Poi qualche anno fa la modifica più importante: si sposta il rettilineo di partenza dopo la Club, riprofilata, (sacrilegio!) e si sostituisce la piega a sinistra verso il Complex girando a destra verso una serie velocissima e poi una sequenza molto lenta, quest’ultima veramente insignificante.
Questa è la Silverstone su cui si correrà domenica un Gran Premio che si annuncia incerto anche se con condizioni atmosferiche favorevoli alla Mercedes, e che è lecito aspettarsi comunque spettacolare e ricco di sorpassi. Non lecito, anzi. Doveroso: si è nella culla dell’automobilismo inglese, dove l’Alfa Romeo vinse con Farina nel 1950, e poi hanno compiuto vere e proprie imprese Gonzales, Ascari, Brabham, Clark, Stewart, Prost, Mansell, Senna, Schumacher, Hamilton e lo scorso anno Vettel. Lo spettacolo è un obbligo.
Non si ammettono brutte figure.