Gran Premio del Messico: primo match point per Hamilton…ma stiamo già 40 a 0!
Domenica prossima, nel Gran Premio del Messico, Hamilton avrà la prima concreta possibilità di fare suo il sesto mondiale. Ma la suspence è prossima a zero, perchè che il mondiale lo vincesse l’inglese è noto ormai da mesi (diciamo da quando è stato evidente che la Ferrari aveva sbagliato l’aerodinamica all’anteriore…Spagna?), e l’unico avversario, Bottas, è già contentissimo di avere sotto al sedere una Mercedes anche l’anno prossimo e di insidiare fino alla fine le ambizioni del suo capo squadra non se lo sogna neppure. I numeri dicono che Lewis vincerà il mondiale se:
– Arriva 1° con giro veloce aggiuntivo, e Bottas è 4° o peggio;
– Arriva 1° e Bottas è 5° o peggio;
– Arriva 2° e Bottas è 8° o peggio;
– Arriva 3° con giro veloce aggiuntivo, e Bottas è 9° o peggio;
– Arriva 3° e Bottas è 10° o peggio.
Onestamente ipotesi abbastanza remote, perchè il passo mostrato dalla stella a tre punte in Giappone è stato strabiliante, e immaginare Bottas dietro a quattro vetture è piuttosto difficile. E comunque se non sarà a Città del Messico sarà a Austin, poco cambia.
Del Gran Premio del Messico vale la pena invece notare qualche altra peculiarità. Innanzi tutto il circuito: uno dei peggio trattati da Tilke nella sua infinita serie di “ristrutturazioni”: c’era negli anni 60 un tracciato di cinque chilometri velocissimo, con curve molto varie e difficili e rettilinei infiniti. La Formula 1 ci tornò a metà degli anni ’80, su una versione leggermente diversa, ma comunque molto interessante, per l’asfalto dissestato e per la presenza di qualche curva molto impegnativa, come la Peraltada (una sopraelevata di 180° che ha visto alcune manovre davvero niente, male, come un’uscita di pista, con ribaltamento innocuo di Senna, o un sorpasso all’esterno di Mansell a Berger nel ’90 che solo quel pazzoide poteva concepire).
Poi un genio ha costruito all’interno della Peraltada uno stadio di baseball, rendendo di fatto impossibile arretrarla di qualche decina di metri per ricavare spazi di fuga adeguati, e da lì in poi il circuito ha preso altre strade, perdendo per sempre il fascino di quella splendida piega.
Il disegno su cui si corre da qualche anno è ridicolo: è rimasto il lunghissimo rettilineo, al termine del quale si raggiungono velocità impressionanti grazie alla rarefazione dell’aria (Città del Messico è a più di duemila metri di quota), ma poi seguono curve lente, senza ritmo, cambi di direzione innaturali e il penoso tratto all’interno dello stadio, in cui le auto sembrano impegnate a cercare parcheggio, invece che a gareggiare tra loro.
Un’altra storia interessante è quella dei due fratelli a cui è dedicata l’autodromo: Pedro e Ricardo Rodriguez. I due corsero negli anni ’60, anche in formula 1, anche a livelli molto alti. Pedro, di due anni più vecchio, vinse anche un paio di gran premi, prima di morire in una gara di una categoria inferiore in Germania. Qualche anno prima era venuto a mancare anche il giovane Ricardo, vera promessa adocchiata da Enzo Ferrari, vittima della Peraltada durante le prove del gran premio di casa del 62. Due possibili campioni famosissimi in patria e stroncati da un destino crudele, a cui è stato doveroso intitolare il circuito più importante dello stato centroamericano.
Infine non si deve dimenticare che su questa pista va molto forte, storicamente, la RedBull, che probabilmente paga meno cara che su altre piste la resistenza all’avanzamento che caratterizza le scelte aerodinamiche di Newey. Quindi anche Verstappen dovrebbe essere della partita. Vediamo se riusciamo a divertirci un po’.