Gp di Singapore: la gara
E’ chiaro che adesso è durissima. A ben vedere non tanto per questioni numeriche: se Hamilton fallisse, tanto per dire, il prossimo Gran Premio in Russia, con una vittoria di Vettel il distacco tornerebbe a -15 e con cinque gran premi da disputare il mondiale sarebbe nuovamente aperto.
Neanche considero così importante l’errore di strategia del muretto Ferrari a Singapore: chiamare Vettel ai box per primo e mandarlo fuori dietro Perez lo ha esposto all’overcut di Verstappen, e costretto a gestire con parsimonia le gomme ultrasoft per quaranta giri, cioè a rinunciare ad ogni possibilità di attaccare le posizioni davanti. Ma tra arrivare secondo o terzo non ci sarebbe stata comunque molta differenza.
Ciò che invece abbatte il morale dei ferraristi è un dato puramente tecnico. Tre settimane fa a Spa Vettel aveva vinto mostrando un apprezzabile vantaggio in termini di potenza del motore, e una maneggevolezza della macchina almeno pari, se non superiore, a quella della Mercedes. Già a Monza e a Singapore, invece, la Mercedes sembra aver invertito la tendenza, e adesso è Hamilton a guidare la macchina migliore. Di nuovo. Dopo pochissimo tempo.
Il vantaggio in qualifica forse va attribuito più alla grande classe del pilota, che alla consistenza della macchina; ma quanto visto invece in gara a Singapore (cioè un dominio pressochè incontrastato del campione in carica sulla Ferrari e sul bravissimo Verstappen) è frutto di un superiorità del mezzo che è tornata indiscutibile. Cosa abbiamo fatto di preciso a Stoccarda e Brackley è difficile capirlo, fatto sta che in pochi giorni la Mercedes pare aver recuperato un certo gap di potenza nei confronti della Ferrari (lo si era già visto a Monza) e a Singapore si è rivelata la macchina migliore in termini di gestione delle gomme.
Incredibile l’inizio del Gran Premio: Hamilton ha prima imposto un ritmo bassissimo, per tenere impacchettato il gruppo e togliere la voglia dell’undercut, o della strategia a due soste, agli avversari diretti. Poi ha deciso di allungare e in pochi giri aveva già un vantaggio rassicurante sul secondo, che poi ha potuto amministrare con relativa tranquillità per tutto il resto della gara senza avere nessun problema con le gomme.
Solo in una occasione, quando si è trovato in mezzo alla battaglia dei doppiati Grosjean e Sirotkin, il campione inglese ha dovuto rintuzzare un tentativo di Verstappen, ma per il resto la vittoria di Hamilton a Singapore è, tra le 69 ottenute in carriera, una di quelle che più infondono fiducia in vista dei prossimi gran premi, per la superiorità e la sicurezza dimostrare prima in qualifica e poi in gara.
Adesso la Ferrari, deve, per l’ennesima volta, reagire. Con gli ingegneri e i piloti. La faccia di Vettel sul podio era rassegnata, e le sue parole (“Non c’è niente da dire, non avevamo velocità”) confermano che dietro la sconfitta in terra asiatica c’è soprattutto la mancanza di competitività. Serve uno sforzo difficile ma non impossibile. L’ultima carta da giocare prima di considerare perso questo mondiale.
Infine una considerazione generale: la gara è stata, come dicono gli inglesi, “processional”. I primi sei in qualifica sono arrivati sotto la bandiera a scacchi esattamente nello stesso ordine, e neanche Ricciardo, autore di una strategia diversificata che gli ha permesso di andare all’attacco di Raikkonen e Bottas negli ultimi giri, ha potuto nemmeno abbozzare un tentativo di sorpasso. Il pilota australiano riusciva a far scendere il distacco sotto il secondo, poi si allontanava fino a tre secondi di distacco per far raffreddare gomme e freni, e poi in un solo giro tornava vicino agli scarichi della macchina di Kimi. Questo significa che in Formula 1 neanche una macchina che è tre secondi al giro più veloce di quella che la precede riesce a tentare il sorpasso. Che senso ha?