Cosa aspettarsi da Austin

Il Gran Premio degli Stati Uniti costituisce il primo “match point” per Hamilton, cioè la prima occasione per chiudere matematicamente il mondiale. In caso di vittoria e terzo posto (o peggio) di Vettel l’inglese si porterebbe a casa il quinto titolo, raggiungendo un mito come Juan Manuel Fangio al secondo posto della classifica dei piloti più vincenti.

Hamilton sul podio di Austin, uno dei suoi circuiti preferiti

Schumacher, con sette titoli, sarebbe meno inavvicinabile di quanto si è sempre pensato, e il 33enne britannico, farebbe un ulteriore passo nell’Olimpo dei grandi, sempre che ci sia ancora gente in giro che non ne riconosce l’enorme classe.
Eppure io vado controcorrente, e dovessi scommettere sull’esito della gara di Austin mi sentirei di spendere qualche soldo sulla Ferrari. Ormai la Rossa è battuta sia nel campionato piloti che in quello costruttori, ma le polemiche del mese di Settembre, oltre che la grave perdita di competitività, potrebbero aver indotto la scuderia ad una reazione d’orgoglio, sia da parte del personale in pista che da quello in fabbrica. Nelle due settimane che hanno seguito Suzuka mi immagino gli uomini di Maranello impegnati nello studio di migliorie e modifiche, che possano riportare la vettura al livello della Mercedes, sia nella gestione delle gomme sia per quanto riguarda la stabilità dell’asse posteriore, problemi insorti nelle ultime gare con l’introduzione di sviluppi evidentemente errati.

La Mercedes del pilota inglese in azione lo scorso anno con alle spalle la tipica torre del circuito americano

Come detto il mondiale ormai è perso, ma credo che sarebbe comunque una bella iniezione di fiducia per tutto l’ambiente riuscire a contrastare di nuovo Hamilton e Bottas in queste ultime gare della stagione. Qualche altra vittoria da parte di Vettel o, perchè no, Raikkonen chiuderebbe positivamente un’annata altalenante, ma comunque da giudicare in maniera generosa. Alla fine la Ferrari ha sbagliato solo le gare del mese di settembre, ma per il resto dei gran premi ha tenuto brillantemente il passo della Mercedes riuscendo non di rado a superarla e costringendo una delle scuderie più forti e dominanti che si siano mai viste a spremersi come mai si era visto nelle altre stagioni dell’era ibrida.
Ovviamente si inserirà nella lotta anche la RedBull, costantemente nel ruolo di terzo incomodo e capace in più di un’occasione di rompere le uova nel paniere alle due squadre più forti, ma il fatto che si stia procedendo rapidamente alla separazione dalla Renault com fornitrice di motori (un divorzio burrascoso, poche volte si erano visti un telaista e un motorista che non vedono l’ora di smettere di lavorare insieme come in questa occasione) mi fa pensare che non sarà questa la domenica giusta per Ricciardo e Verstappen per strappare un podio.

Il tracciato del Circuit of the Americas (COTA) di Austin

In attesa di essere smentito dagli eventi chiudo con una serie di considerazioni sul circuito di Austin.
Piace a tutti: ai piloti che lo ritengono impegnativo e fantasioso, agli spettatori che hanno visibilità su lunghi tratti del tracciato, agli addetti ai lavori che dispongono di spazi ampi e comodi.
Invece a me non piace. Il solito Tilke ha lavorato come sempre più di razionalità che di fantasia, e per me ha continuato a camminare (secondo un percorso che lo sta portando a ridisegnare e peggiorare tutte le piste del circus) nella direzione sbagliata.
Ci si lamentava della mancanza di salite o discese negli ultimi circuiti? Ecco che la prima curva è posta in cima ad un cucuzzolo, il chè sarebbe anche interessante, se a cinquanta metri dal punto di corda la pista non si allargasse a dismisura (secondo una tendenza inaugurata in India e che mi auguro non si diffonda) facendo completamente perdere il senso della traiettoria a chi vede la gara.

La prima curva caratterizzata da un anomalo allargamento della sede stradale

Dice Tilke che così si facilitano i sorpassi e si permettono traiettorie più varie. A me pare un pessimo esercizio estetico, che rende una curva già di per sè stupida (il solito “angolo” a cuspide con raggio ridottissimo di cui l’architetto tedesco ha disseminato le sue piste) ancora più incomprensibile.

E quello che viene dopo? Si è detto spesso che la doppia S Becketts – Maggots – Chapel di Silverstone sia una delle più belle sequenze del calendario. E allora Tilke ne ha messa una copia anche qui, solo che di curve in sequenza invece che quattro ce ne sono otto, alcune a cuspide, di nuovo, prive di ritmo e con comodissimi cordoli da sfruttare in caso di errore. Bello, forse, per i piloti, ma di nuovo io mi sento percorso da una sensazione di nausea e di mancanza di naturalezza quando vedo inquadrato questo tratto della pista.

L’assurdo “Motodrom” del circuito texano

Ma il peggio arriva dopo il lungo rettilineo di ritorno verso i box. C’è una bella frenata dove si sorpassa bene e fin qui niente da dire, ma la parte che segue, pallida imitazione del Motodrom di Hockenheim per la presenza di tribune molto vicine, è il più assurdo tratto guidato che io abbia mai visto: una serie di “angoletti” lentissimi costringe i piloti a girare a destra e sinistra in mezzo ad una distesa di asfalto, somigliando più a una massaia che cerca posteggio al supermercato che ad un gruppo di temerari che si sfidano su una pista degna di questo nome.
Con tutti i soldi spesi per costruire questo autodromo si poteva comodamente ristrutturare quella perla dell’automobilismo americano che è Watkins Glen, oppure portare la Formula 1 a Road America
Ma le logiche commerciali non tengono certo conto di queste motivazioni.

 

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David Bianucci

Mi chiamo David Bianucci, e sono nato a Prato nel 1972. Dal 1981 non mi perdo un gran premio di Formula 1. Nel frattempo ho studiato, fatto sport, adesso lavoro come ingegnere meccanico ma la passione non si è mai spenta. Vivo in Veneto con moglie e tre gatti. Non posso più prendermi due ore per andare a vedere le macchine che girano al Mugello, ma questo non frena certo la mia voglia di parlare di corse. Vi aspetto.